Il suo art. 3 definisce infatti l’ambito soggettivo di applicazione dell’intero codice individuando come:
- “consumatore o utente”: la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta;
- “professionista”: la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.
L'art. 3 ci fornisce dunque le due fondamentali definizioni delle sopracitate figure; in definitiva il consumatore è un soggetto (persona fisica) che usufruisce dei beni o dei servizi offerti dal professionista. Il presupposto per l’applicazione di tutta la disciplina del Codice del Consumo è infatti che le parti del contratto siano sussumibili nelle citate categorie sostanziali di professionista e consumatore: in difetto, invece, l’accordo siglato sarà soggetto alla normativa generale in tema di contratti, senza possibilità quindi per una parte di invocare le tutele speciali previste da tale codice del consumo. Il codice civile, dunque, assume carattere residuale riguardo le materie non regolate dal codice del consumo. Senonché svariati, fino al 2016, sono stati gli interventi normativi che hanno progressivamente modificato detto codice del consumo, anche e soprattutto al fine di tracciare i limiti di confine tra esso ed il codice civile (tra essi si veda l’articolo 3 del D.Lgs. 23 ottobre 2007 n.221 che è intervenuto sul già citato art. 3 del codice). La differenza tra le due categorie di soggetti ha però subìto un’importante evoluzione anche e soprattutto attraverso l’opera della giurisprudenza: fin da subito infatti le definizioni fornite dal codice del consumo sono parse inidonee ad una netta suddivisione tra le due figure di cui all’art. 3. Tra gli interventi più importanti, rileva quello tramite cui la Cassazione ha precisato la differenza di cui sopra partendo sì dal dato testuale della norma, ma contestualizzandola all’interno di un’ottica di più ampio respiro: “la qualifica di consumatore di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 3, – rilevante ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui all’art. 33, del citato D.Lgs. – spetta, infatti, alle sole persone fisiche allorché concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, dovendosi, invece, considerare professionista il soggetto che stipuli il contratto nell’esercizio di una siffatta attività o per uno scopo a questa connesso (in tal senso, Cass. ord. 12 marzo 2014, n. 5705).” Tramite la pronuncia in esame la Corte ha provveduto dunque a circoscrivere l’ambito di applicazione della figura del “consumatore”: il novero di diritti e tutele riconosciutegli è infatti strumentale ad una sua tutela come “parte debole” del rapporto contrattuale, sulla base della presunzione per cui egli non avrebbe i mezzi e le competenze per porsi sullo stesso piano del “professionista”. Alla luce di ciò, appare chiaro come l’insieme dei rimedi che vengono approntati nei vari articoli del codice sia tale da far gola anche a chi “consumatore” effettivamente non sia, ma in determinati casi cerchi di farsi passare. Ecco che la Corte ha così voluto individuare una reale linea di confine. A maggior ragione, la stessa Corte di Cassazione, con ordinanza del 5 maggio 2015, n.8904, ha poi stabilito come: “ai fini dell’assunzione della veste di consumatore, l’elemento significativo non è il mero “non possesso”, da parte della persona fisica che ha contratto con un operatore commerciale, della qualifica o della caratteristica di imprenditore commerciale, bensì, secondo la lettera della legge (art. 12 disp. sulla legge in generale, comma 1, prima parte), lo scopo avuto di mira dall’agente nel momento in cui ha concluso il contratto.”. In altre parole, secondo la Corte, è l’atto del consumo finale a “qualificare” soggettivamente il contraente, in ragione quindi del c.d. criterio teleologico (in questo senso: Corte di Cassazione - sez. VI - 3 - ordinanza 5 maggio 2015, n.8904 - pres. Finocchiaro – est. Ambrosio). Circa lo scopo, giova ricordare come sia sufficiente che esso, affinché ricorra la figura del “professionista”, sia anche solamente connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale (in tal senso, Trib. Alessandria, 19/12/2011): non sarà quindi necessario che il contratto sia posto in essere nell'esercizio della specifica attività propria dell'impresa o della professione, basterà invece una connessione ad essa. L’importanza di tale distinzione è fondamentale: ove il soggetto non venga inquadrato all’interno della categoria dei “consumatori” il contratto si considererà stipulato tra parti ben informate e a nulla potranno valere i richiami al divieto di abuso della maggiore conoscenza o forza contrattuale del “professionista” a discapito del primo. Ci si chiede poi: nell’ipotesi per cui un “consumatore” venga assistito durante la fase precontrattuale e durante la stipula del contratto da un avvocato, sarà ancora possibile qualificarlo come tale? La giurisprudenza, sia a livello comunitario che a livello italiano, ha infatti da tempo inquadrato il rapporto tra avvocato e cliente nella cornice del rapporto tra professionista e consumatore: a ragion di ciò, una recente ordinanza della Cassazione ha confermato l’applicabilità della disciplina (e delle tutele) del consumatore, come dettate dalla direttiva 93/13/CEE e dal codice del consumo (D.Lgs n. 206/2005), ai rapporti tra l’avvocato/professionista (in quanto prestatore d’opera intellettuale ai sensi dell’art. 2229 c.c.) e il cliente/consumatore (in tal senso: Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 24 gennaio 2014 n. 1464). La stessa Cassazione ha ripreso poi il tema ribadendone, a chiare lettere, il concetto: “il cliente può, ricorrendone le condizioni, essere qualificato consumatore nel rapporto con il suo legale, ancorché tale rapporto sia indubbiamente caratterizzato dall’intuitu personae” (vedasi Cass. Civ. Sez. VI – 3, ordinanza 12 marzo 2014 n. 5705). Alla luce di ciò, dal momento che il legale nello svolgimento della propria attività professionale viene espressamente considerato quale professionista, ne deriva la connaturata perdita, in capo al consumatore assistito dal legale/professionista che contratta col terzo, di tale qualifica: nessun consumatore, assistito da un professionista nella fase precontrattuale ed ovviamente contrattuale, potrà infatti ancora essere reputato tale e fregiarsi, così, di detta qualifica. A nulla valgono, dunque, i richiami al divieto di abuso della maggiore conoscenza o forza contrattuale del professionista a discapito del consumatore cui è ispirata la ratio del codice del consumo, essendosi dato consensualmente vita, nel presente caso, ad un normale contratto tra parti ben informate. Si ricorda, infatti, come lo spirito del D.lgs. 6 settembre 2005, n.206 sia quello di fornire uno strumento di tutela contrattuale e postcontrattuale alla parte contraente debole del rapporto: non pare ravvisabile alcuna debolezza in un contratto sottoscritto con l’ausilio di un professionista.